sabato 25 luglio 2015

Globuli rossi...

E' successo cosi.
Tutto veloce, ma tutto andava lento.
Cambiavano i colori e le espressioni. La cucina, sempre la stessa, meno, la voglia di mangiare. Per mesi.
E' la palestra, diceva. Dimagrisco, per questo.
E' lo stress, diceva. Ho le occhiaie , per questo. Lo stress. Il caldo. Il cibo.
E' che mi manca il mio paese. Che male!

E dopo, aveva i neon puntati addosso. Quelli blu ma che sembrano gialli. I colori dell'ospedale. Ingannevoli. Stucchevoli.

Ed io avevo la mamma, la mia, seduta a fianco a me e le toglievo tutto. La vita. Cosi come me l'aveva data, gliela toglievo. Senza rispetto. Senza avvertirla. Doveva rifarmi, viva. Ora. Non ero pronta per soffrire. 
Senza rispetto la torturavo. Doveva salvarmi, salvarlo, far si che non fosse vero.
Lei però, sapeva meglio di me che la possibilità è qualche volta più vera della realtà.
Non mi diceva che sarebbe andato tutto bene, ma doveva essere perché la luce era davvero strana, "bluette" l'avrebbe descritta mio nonno, e la notte, quella,  davvero troppo lunga. 

Una signora ci chiese cosa non andasse. Noi, non avevamo più voce, sole luce blu e sonno e voglia di vino. Di morire.Io avevo voglia di farmi rinascere, credo.
Le ho risposto male, a modo mio.Secca senza parole.
I globuli rossi non sono un affare mondiale. Va tutto bene. 

Ma ho pronunciate tutte le parole come se la curiosità potesse uccidere. 
L'ho studiata, annichilita. uccisa. La donna.
L'ho odiata. Per quella curiosità insana di trovare conforto al pronto al soccorso, nel dolore altrui. Insomma.

Mia madre non ha risposto affatto. Ha guardato la sua pagina facebook sul telefono per un po'
e mi ha detto:"andiamo, a fumarci una sigaretta."

Dopo un po', infatti,  ti cade la stanchezza. E, tu non vuoi, ma succede. Hai bisogno di dormire. Dormire  e stendere i muscoli. L'amore non è abbastanza.
Abbandoniamo tutti qualcuno, a qualche punto.
Allora sovviene la stanchezza. Ancestrale , profonda, la necessità di sprofondare in un cuscino e di sprondare più a fondo. Senza sognare. Se, possibile, cadresti laggiù. Senza salvezza.
Devi solo dormire.

Hai paura.
Di quello che sapevi. Di quello che saresti pronto a ricevere. Di ciò che già sai. Di quello che devi sapere.
E' tutto nel DNA. Sei già pronto. Sei stanco. Sei morto. Sei vivo.
Accetti tutto. Purché finisca.
Capisci in un istante che il prima non c'è più.
Te lo dimentichi un attimo dopo, ricadi nell'oblio.
Comunque dormi.

Mi sono messa a pancia in giù sul lettone. 
La lettiera era sporca , non capivo quando fosse l'ultima volta che l'avevamo pulita.
Quella notte ho dormito. Poche ore, ma l'ho fatto.
A pancia in giù,per quel dolore ancestrale, come se il materasso potesse cullare il cuore e l'odore della maglietta, dimenticata sul cuscino,  potesse cambiare le cose.

Stasera c'era il cane, e la mamma ed il gelsomimo.
La responsabilità del dolore. 
C'era anche lui, guardava la televisione.
Sano. 
Forse.
Senza ombelico, ma sorrideva.
Sano....

Ammesso questa parola abbia un senso.
Per ciascuno.


Per due ore, stasera, non ho avuto paura.
O, forse si. Come sempre.
Ma è stata una paura leggera, 
come il peso di una vita dolce.
Come mia nonna, i giocattoli e le bombole di ossigeno.
Come ripetere la parola limone all'infinito e
 non trovarne più un senso.